Come fai a sapere se ti stai volendo bene?
Il miglior modo per prevedere il futuro è crearlo. – Peter Drucker
Ho compiuto quarant’anni da poco, esattamente il 27 marzo.
Non è un numero qualsiasi. È uno di quei numeri che fanno rumore, anche se non li dici ad alta voce. Ti costringe a fermarti. Ti guardi dritto negli occhi e ti chiedi:
“E ora?”
È successo in un momento qualunque. Una pigra serata d’inverno, mancavano poche settimane a dicembre. Ricordo che stavo cercando qualche oggetto per il Black Friday, che ancora doveva arrivare. Ero in cucina, mentre il bollitore borbottava e mi avvisava che l’acqua era calda. Stavo per buttare la pasta.
Mi sono appoggiato al lavello, stanco ma sereno, e mi è arrivata addosso come una valanga la consapevolezza: quarant’anni.
Senza festa a sorpresa.
Senza candeline.
Solo io, il rumore della cappa, e una domanda che si è fatta spazio piano piano:
“Ma io… voglio essere ancora così tra 10 anni?”
Le domande che arrivano con i 40
All’inizio ho cercato di sviarla.
“Che cazzo di domanda!” – mi sono detto – “Che c’entra mo?”
Eppure, più cercavo di spostare l’attenzione, di guardare video di geopolitica su YouTube, più lei tornava.
Ostinata. Stronza.
Mi ha accompagnato nei giorni successivi, poi nei mesi.
Come una voce in sottofondo, mentre lavoravo, mentre parlavo con gli amici, mentre scrollavo il telefono.
Anche le sedute con lo psicologo sono diventate più burrascose. All’inizio a lui avevo nascosto la domanda che girava e rigirava.
Ad un certo punto, ho provato a rispondermi davvero.
Mi voglio bene?
O sono uno di quelli che si raccontano di sì, ma poi si giudicano per ogni errore, si colpevolizzano per ogni passo falso, si mettono all’ultimo posto anche quando non ce n’è motivo?
La risposta, oggi, è sì.
Sì, mi voglio bene.
Ma non è un sì urlato. È un sì sussurrato, conquistato con fatica.
È un sì che ha dovuto passare attraverso fallimenti, decisioni sbagliate, ripartenze.
Non sono perfetto, ho i miei difetti come chiunque altro. Ma ho imparato a prendermi cura di me stesso. Ogni giorno cerco di crescere e diventare una versione migliore di me, poco a poco.
E mi sono chiesto:
Quante persone possono davvero dire lo stesso?
Tu che stai leggendo… ti vuoi bene?
Alzare l’asticella fa male. Ma è l’unico modo
In questi mesi preparatori ai miei 40 anni, ho incontrato tante persone.
Risate, racconti vecchi, cene improvvisate che finiscono sempre troppo tardi.
E mentre loro parlavano, io li osservavo con affetto – ma anche con una strana sensazione addosso.
Una sensazione che, inizialmente, non riuscivo a mettere a fuoco.
Poi ho capito.
Mi sento distante.
Non per cattiveria, non per superiorità.
Solo… distante.
Perché mentre io sento che sto scalando una montagna, molti di loro sembrano essere rimasti al campo base. E non è facile ammetterlo.
Per anni siamo stati nella stessa situazione, ci siamo sostenuti, abbiamo condiviso sogni, risate e fallimenti. Ma oggi, con un po’ di malinconia, sento che per salire davvero… non posso portarli tutti con me.
E questo fa male.
Fa male perché, anche se sai che è necessario, dentro ti chiedi:
“Sto facendo la cosa giusta?”
A volte, si sorride anche quando dentro c’è silenzio
Forse questi pensieri si leggono anche sul mio volto. Forse chi mi conosce davvero, chi ha uno sguardo sensibile, li nota anche solo attraverso uno schermo, quando ogni giorno auguro a tutti #unbuongiornoalgiorno.
Perché sì, a volte sorrido anche quando dentro sento silenzio.
Non tristezza.
Non vuoto.
Silenzio.
Quel silenzio che arriva quando stai cambiando pelle. Quando hai il cuore pieno di domande e la testa che corre avanti, ma non sai ancora bene dove ti porterà tutto questo.
E in quei momenti…
non mi servono risposte.
Mi basterebbe un abbraccio. Anche simbolico.
Una presenza silenziosa che dica:
“Va bene così. Sbaglierai sicuramente, ma… Continua.”
Le connessioni che non ti aspetti
Marzo è stato un mese strano. Intenso.
Ho conosciuto un sacco di persone nuove, soprattutto freelance. Molti di loro li ho incontrati per lavoro, ma poi – tra una call e una pausa caffè virtuale – sono nate chiacchierate che niente avevano a che fare con progetti, scadenze o consegne.
Abbiamo parlato di vita, di scelte, di paure. Ci siamo raccontati. Molti si sono spulciati i miei social e il mio sito web. (Cosa che mi fa chiedere e richiedere: perché ho smesso di fare personal branding? Lo posso fare in un modo che mi piaccia?
Invece di fare i classici caroselli dal cazzo su Instagram? Poi vedremo…)
E ho sentito qualcosa che non provavo da un po’: connessione vera.
Sai quella sensazione che hai quando, anche se conosci qualcuno da pochi giorni,
ti sembra di parlare con un vecchio amico? Ecco. È successo. Più di una volta.
E mi è piaciuto tantissimo.
Mi sono accorto che amo lavorare con chi mette umanità nel professionale,
con chi porta se stesso in ciò che fa, senza maschere, senza pose.
Perché le grandi aziende, quelle sane, non sono fatte di processi perfetti.
Sono fatte di persone che si parlano, si ascoltano, cooperano davvero e crescono tutti insieme, umanamente e professionalmente.
E se c’è una cosa che voglio portarmi dietro, anche nei prossimi dieci anni, è proprio questa:
lavorare con chi non ha paura di essere umano, e che vuole crescere. Che non vuole rimanere al campo base.
Ho una direzione. E non voglio rinunciarci
Tutti questi pensieri, le domande, i silenzi, gli incontri, le distanze che si creano,
mi hanno portato a una sola grande consapevolezza:
So dove sto andando. E non voglio rinunciarci.
Voglio arrivare tra dieci anni e guardarmi allo specchio con un sorriso pieno.
Non un sorriso di circostanza, ma uno di quelli che senti dentro, negli occhi, nella pancia.
Voglio soddisfazione.
Voglio crescere nel lavoro, nella vita, nelle relazioni.
Voglio sentirmi in cammino ogni giorno, anche quando il sentiero è stretto, anche quando manca il fiato.
E questa volta, davvero, non voglio mollare.
Voglio creare spazi di crescita, confronto e collaborazione, dove le persone possano sviluppare il loro potenziale, sentirsi parte di qualcosa di più grande
e realizzarsi professionalmente e personalmente.
Affinché possano vivere con soddisfazione, sicurezza e libertà, senza chiedere il permesso di essere sé stesse.
Sono colui che guida le persone nel loro percorso di crescita, le aiuta a sviluppare consapevolezza e le ispira a costruire la vita che desiderano.
Se sei arrivato fin qui, grazie.
Scrivere tutto questo è stato come fare ordine nel caos.
E se c’è anche solo una frase che ti ha risuonato dentro, condividila.
Magari può aiutare qualcun altro a fare un passo in più verso la sua montagna.
A presto,
Andrea
Se sei arrivato fino a qui e non sei ancora iscritto, fallo ora!
Tutto d’un fiato.
Bellissima condivisione: grazie Andrea!!! Le tue parole serviranno a tanti quanto a me ✌🏻